I seguaci di Röntgen e le prime diagnosi (cenni di storia della radiologia III)

I seguaci di Röntgen e le prime diagnosi (cenni di storia della radiologia III)

Presentare la scoperta come un passo avanti nell’arte della fotografia – e il suo modesto artefice come il “fotografo dell’invisibile” – fu una tentazione alla quale la stampa non specializzata difficilmente riuscì a sottrarsi. Quale fu il primo pensiero dell’uomo comune? Riuscire a vedere cose irraggiungibili alla vista normale, oggetti nascosti, parti segrete. Curiosità da soddisfare piuttosto che nuove conoscenze da acquisire. Persino le parti intime femminili entravano a far parte di un mondo che, da quel momento, poteva morbosamente lasciarsi esplorare. 

Röntgen, consapevole di avere svelato un segreto della natura davvero rivoluzionario, si era lasciato andare con la moglie-complice a uno sfogo liberatorio, “E adesso si scateni pure il diavolo!”, che faceva trasparire il timore, più che l’auspicio, di una facile popolarità.

Al di là delle suggestioni magiche e scabrose, però, ci si rese subito conto di quale fosse il campo sul quale si sarebbe presto evidenziato il vero progresso. Lo stesso Corriere della Sera, in quel suo primo annuncio, intravedeva già “…la pratica applicazione come grande aiuto nella chirurgia”. E spiegava perché: “Con simile processo, sarà agevole riconoscere la natura, l’importanza delle fratture, le ferite delle armi, specie di quelle da fuoco. Nella estrazione delle palle soprattutto, il nuovo metodo di investigazione risparmierà al ferito il metodo attuale, così tormentoso, del sondaggio, operato spesso a caso”.

L’interesse per i raggi X e per le loro pratiche applicazioni fu subito molto vivo in Italia, dove alcuni scienziati erano stati destinatari dell’estratto inviato da Röntgen il giorno di Capodanno.

Tra i primi a lasciarsi trascinare in questa nuova frontiera “dell’invisibile” si distinse Giuseppe Vicentini, direttore dell’Istituto di Fisica dell’Università di Padova, che in quel periodo si stava dedicando a studi sulla ionizzazione dei gas e sull’effetto termoionico, cioè l’emissione di ioni da parte di un metallo portato ad alta temperatura; studi che gli avevano dato modo di familiarizzare proprio con le attrezzature utilizzate dal più anziano collega tedesco per la produzione di quella “nuova specie di raggi”. 

Originario di Ala, in provincia di Trento, Vicentini era da poco tornato nell’ateneo presso il quale si era laureato, dopo avere peregrinato per altre sedi accademiche, da Torino a Cagliari, a Siena. Aveva 35 anni e tanta passione per lo studio; quando venne a conoscenza della scoperta fatta a Würzburg era già pronto, spiritualmente e materialmente, a tuffarsi nella mischia della sperimentazione.

Assieme al suo assistente Giulio Pacher, in nove giorni di duro lavoro, riuscì a ottenere numerose registrazioni radiografiche, e già il 26 dello stesso mese di gennaio presentò al Reale Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti, una memoria sulle proprie iniziali “Esperienze coi raggi di Röntgen”.

Tra le varie immagini, ecco ancora una volta spiccare lo scheletro di una mano di donna, come primo esemplare di una parte del corpo umano fino allora sconosciuta alla vista. Non c’era un anello, stavolta, ma in compenso veniva rilevato un particolare sicuramente più significativo. A livello della articolazione interfalangea prossimale del quinto dito era presente una anchilosi, e lo stesso Vicentini annotò e firmò la didascalia: “Mano di donna; anchilosi al mignolo”

 

Quella mano, della sconosciuta donna padovana (datata 18 gennaio 1896), si era prestata alla prima diagnosi radiografica.

Ne seguirono altre, nei giorni successivi, di radiografie e di relative diagnosi. Vicentini aveva chiesto e ottenuto la collaborazione di un medico, Salvatore Catellani, e la disponibilità di eseguire prove su pazienti dei locali reparti chirurgici universitari. Fu esaminata la mano di un operaio che aveva riportato la frattura di tutti i metacarpi, col riscontro di un ingrossamento delle parti ossee ormai completamente saldate tra loro. Nel piede di una ragazza di 14 anni, affetta verosimilmente da tbc del secondo dito, si apprezzò “ingrossamento di una falange” con una porzione centrale trasparente, sede della lesione; il prof. Ernesto Tricomi l’avrebbe poi sottoposta ad amputazione. In una ragazzina di 12 anni, la localizzazione tubercolare venne svelata a livello dell’indice di una mano. E ancora. Un “anormale spostamento” del calcagno venne bene evidenziato coi raggi X su di un ragazzo che doveva essere operato dal prof. Edoardo Bassini, ideatore dell’omonimo, ben noto, intervento chirurgico per l’ernia inguinale.

Ogni immagine una rivelazione, una luce che si accendeva.

Tutto quello che fino a quel momento era stato, al massimo solo intuito, adesso si poteva vedere. Anzi, pre-vedere senza bisogno di dovere arrivare alla osservazione sul tavolo operatorio, o addirittura su quello necroscopico. Le ossa rappresentarono, per così dire, il primo bersaglio, il più facile da colpire coi nuovi raggi; e così, tante incertezze diagnostiche sulle patologie dello scheletro, sulle fratture come sulle malattie sistemiche, venivano di colpo spazzate via. Solo i medici e i chirurghi di allora erano in grado di apprezzare, a pieno, il grande passo avanti compiuto dalla scienza.

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