Sindrome da burnout
Ammalarsi da stress da lavoro o da disoccupazione? Oggi, anche sotto il profilo formale, si può.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha deciso che il burnout va ufficialmente considerato una sindrome, dopo averlo erroneamente inserito nell’elenco delle malattie la prima volta.
“Il burnout – si legge sul sito dell’agenzia speciale dell’Onu per la salute – è inclusa nell’undicesima revisione dell’International Classification of Diseases (ICD-11) come un fenomeno occupazionale (stress da lavoro). Non è classificata come una condizione medica”. Per questo ha anche fornito ai medici alcune direttive per diagnosticare tale situazione.
Si può essere affetti da burnout (letteralmente ‘esaurimento’, ‘crollo’) di fronte a sintomi come mancanza di energia o spossamento, aumento dell’isolamento dal lavoro o sensazioni di negatività e cinicismo legati al lavoro, diminuzione dell’efficacia professionale.
Prima di diagnosticare il burnout, l’OMS ha raccomandato di escludere altri disturbi che presentano sintomi simili come il disturbo dell’adattamento, l’ansia o la depressione. Ha inoltre specificato che il burnout è legato solo alla condizione lavorativa.
Il primo ad occuparsi di burnout è stato lo psicologo Herbert Freudenberger con un articolo scientifico pubblicato nel 1974, la sindrome si riferiva principalmente a professioni cosiddette di aiuto come quelle di infermieri e dottori ed estesa poi più in generale a persone chi si occupano di assistenza o che entrano continuamente in contatto con altre che vivono stati di disagio o sofferenza.
Tra le professioni stressogene, quella dell’odontoiatra è tra le prime.
Uno studio effettuato presso l’Istituto di Scienza e Tecnologia dell’Università di Manchester, dimostra che “lo stress influenza tutte le categorie di lavoratori”.
È stata stilata una vera e propria scala internazionale che assegna valori da 0 a 10 alle professioni con l’obiettivo di classificare quelle più stressanti.
Quella dell’odontoiatra, quindi, viene ormai a pieno diritto considerata una tra le professioni più stressogene.
Numerose sono infatti le statistiche che dimostrano quanto le seguenti condizioni generino preoccupazioni, ansietà, quindi, sostanzialmente, stress:
- trascorrere molte ore del giorno, per almeno cinque giorni su sette, in una posizione scomoda ed innaturale;
- lavorare nella sfera “intima” del paziente, che rimane sdraiato in una posizione di passività, con la cavità orale aperta, in cui il dentista opera, magari producendo dolore;
- percepire le aspettative del paziente in termini di risultati da ottenere in tempi ristretti;
- occuparsi dell’attività di gestione dello studio dentistico;
- gestire il rapporto con il personale, i collaboratori ed i fornitori.
Si possono evidenziare svariate situazioni in cui il dentista si trova ad operare sotto pressione, ma vi sono almeno due cause principali di stress per il professionista del dentale:
- perdita del controllo. Il livello di funzionamento mentale ed operativo risulta di gran lunga più proficuo quando si ha il controllo di sé, del proprio operato (avendo cura di assumersi la responsabilità di successi e fallimenti), del benessere del paziente e del personale di studio;
- perdita della motivazione. Porsi obiettivi irrealistici o avere ambizioni eccessive porta alla frustrazione e alla perdita di passione per il proprio lavoro. Un rischio paventato è la tendenza al perfezionismo, attitudine che può avere ripercussioni negative e condurre allo stress da lavoro.
Per il dentista impegnato a districarsi quotidianamente nella fitta selva di problemi riguardanti la sfera personale e professionale, può essere utile imparare a riconoscere ed accettare i segni del disagio.
- Consapevolezza: è importante sapere che ci si può fidare del proprio team. Cercare di valorizzare il proprio operato e quello dei collaboratori, senza rimanere agganciati a pensieri ossessivi (del tipo: “come sarebbe se avessi più introiti o pazienti o se i colleghi fossero diversi”), aiuta a costituire un ambiente di lavoro sano e rispettoso.
- Risoluzione del problema: quando si verificano imprevisti o frizioni con il team o con il paziente, è importante rendersene conto e affrontare l’ostacolo piuttosto che evitarlo ed essere deconcentrato.
- Evitare il “burnout”: significa non accettare passivamente una progressiva perdita di entusiasmo verso il lavoro, ritardi decisionali, e procrastinazione del lavoro noioso. Tenere sotto controllo irritabilità, spossatezza fisica e mentale che possono portare ad una sorta di “spersonalizzazione”. È importante ricordare alcuni di questi segnali, se interpretati correttamente, si propongono come catalizzatori di un cambiamento che può portare a migliorare la qualità della vita.
È fondamentale un approccio equanime nell’ammettere che possono essersi venute a creare alcune difficoltà sia di natura pratica che relazionale, senza per questo ritenersi inadeguati come professionisti, e provare a risolvere i problemi soprattutto con l’aiuto del team. Una volta individuate le aree problematiche, è necessario assumersi la responsabilità della loro risoluzione, ad esempio creando un protocollo di prevenzione del contenzioso con i colleghi o con i pazienti.
E’ imprescindibile ritagliarsi del tempo per una fisiologica “decompressione” dal lavoro e separare la vita professionale da quella sociale, affettiva e privata.
Per prevenire disastrose conseguenze causate dallo stress, è utile seguire alcuni passaggi anche nella gestione dei collaboratori.
Selezione consapevole dei collaboratori. Valutare i curricula per cercare il giusto bilanciamento tra educazione ed esperienza per il ruolo e ricercare (sul web) il profilo social del candidato sono due passaggi che consentono già di escludere alcune persone. Fornire al collaboratore i giusti mezzi per aiutarlo a crescere professionalmente.
È necessario fornire loro dettagliate descrizioni del lavoro che devono svolgere e poi lasciare spazio per la crescita autonoma, senza tralasciare continui confronti.
Bloccare i conflitti sul nascere. Ad esempio un nuovo membro del team può mutare le abitudini cristallizzate dei colleghi e creare tensioni e litigi. Ogni piccolo conflitto non va trascurato ma subito affrontato.
Imparare a fidarsi dei colleghi e delegare. L’abitudine consolidata è quella di pensare che il dentista, proprietario dello studio, debba essere coinvolto in ogni decisione anche se secondaria. Questo atteggiamento provoca stress in tutto il team e notevole frustrazione nei collaboratori che non potranno mai crescere realmente. È importante dimostrare al team che si può rinunciare ai controlli minuziosi, chiedendo altresì aggiornamenti sui lavori svolti senza entrare nei dettagli e non sentirsi in dovere di essere coinvolto.